Mi è capitato spesso di vedere un documentario o un filmato aziendale che alla fine non mi hanno lasciato niente, se mi chiedete quali, non lo so, me li sono scordati subito.
Lavori come questi contengono al loro interno un errore fondamentale: non emozionano perché puntano solo sull’aspetto tecnico.
Ma come si può emozionare lo spettatore raccontando, per esempio, un’attività apparentemente banale?
Molti filmmaker dedicano troppo poco tempo alla fase di pre-produzione, quella dove si fanno le ricerche e si cercano i punti chiave della storia che si vuole raccontare parlando con le persone e capendo l’ambiente in cui si muovono. In tanti fanno qualche domanda pre-confezionata senza creare un reale dialogo con il loro intervistato, riprendono un po’ tutto quello che capita oltre l’intervista per poi passare il restante 80% del tempo a cercare di assemblare il tutto in fase di montaggio dandogli più o meno un senso. Nel migliore dei casi il risultato dipende dalla fortuna di aver trovato un intervistato abbastanza bravo da tirare fuori qualcosa d’interessante. Purtroppo nella maggior parte dei casi non è così perché in molti, davanti a una videocamera, diventano impacciati e non sono naturali, cercando, invano, di recitare. Metterli a proprio agio è invece un compito fondamentale del filmmaker che non dovrebbe mai limitarsi solo agli aspetti tecnici ma curare con attenzione i rapporti umani dandogli una maggior attenzione rispetto a tutto il resto.
La mia esperienze con le interviste arriva da lontano, sono 30 anni che ne faccio e penso che negli anni ho imparato come farle, o meglio, come non farle proprio!
L’unico modo per avere un risultato naturale è quello di creare un dialogo tra me e il mio interlocutore, non il classico domanda e risposta ma una reale conversazione con la volontà di sentire, capire e chiedere qualcosa in più. Ma per farlo bene bisogna essere preparati e sapere dove indirizzare il discorso per toccare tutti i punti chiave individuati durante la fase di pre-produzione. Diciamo che è un mix di tecnica ed empatia che s’impara con l’esperienza.
Il protagonista della storia è la chiave principale, quando possibile (ma non sempre lo è) bisogna sceglierlo dopo attente ricerche parlando con tutti i potenziali candidati trovando quello con il “punteggio” più alto in queste tre aree: desiderio, unicità e complessità.
Non si tratta tanto di sapere se queste qualità sono presenti ma di capire quanto sono forti e il mio compito come narratore è di tirar fuori queste caratteristiche da una persona.
Ma forse è il caso di approfondire per ogni voce perché è importante.
L’unicità è ciò che rende il personaggio diverso da chiunque altro. Come esseri umani, il nostro cervello è cablato per prestare attenzione alle novità. Questo significa che più il personaggio è diverso, unico nel suo genere, più puoi attirare gli spettatori nella tua storia.
Il desiderio è ciò che il personaggio vuole più di ogni altra cosa. Più il personaggio è appassionato e spinto a raggiungere il suo obbiettivo, più il pubblico tiferà per lui. È attraverso il desiderio del personaggio che creiamo la propensione emotiva all’empatia. Il desiderio fa innamorare il pubblico del nostro personaggio.
La complessità è il perché il personaggio vuole quello che vuole. La complessità dà al personaggio profondità e/o integrità. Sostiene la connessione del pubblico con il personaggio. Dà allo spettatore una ragione per credere in lui, per tifare perché raggiunga il suo desiderio.
Complessivamente, l’unicità, il desiderio e la complessità lavorano insieme per attirare il pubblico, farlo innamorare e sostenere la sua connessione con il personaggio principale. Ed è il personaggio principale che servirà come veicolo per condurre gli spettatori allo scopo finale della storia che si vuole raccontare.
Ma il personaggio da solo non basta, bisogna individuare una storia in cui farlo muovere, la sua storia naturalmente ma non deve essere una biografia, altrimenti perderemo sicuramente l’attenzione del pubblico perché diventeremo noiosi. Sempre in fase di pre-produzione bisogna individuare i punti chiave e come sistemare questi elementi all’inizio, al centro e alla fine del film. I punti chiave sono i momenti critici nella storia di un personaggio, quelli che hanno plasmato il suo viaggio, alcuni sono specifici, legati a momenti o eventi, altri sono generici includendo influenze culturali, pressioni sociali inserendo il personaggio in un contesto storico e/o ambientale.
Un volta decisi i punti chiave bisogna distribuirli lungo la storia che dovrà avere una struttura solida che nella sua unicità rispetti comunque quello che comunemente si chiama arco narrativo.
Generalmente ogni storia è divisa in tre parti, un 25% è l’inizio dove si mostra di cosa si parla e la direzione, il 50% è la parte centrale, quella del viaggio, i punti chiave della vita / attività del personaggio e il restante 25% è la fine, la risoluzione, la parte emozionale dove si lascia allo spettatore trarre le sue conclusioni.
La chiave della storia per mantenere l’attenzione dell’audience è nella crescita dell’emozione fino alla parte finale avendo chiaro, prima di iniziare le riprese di aver individuato questi quattro punti:
- Trovato il personaggio principale ed eventuali secondari e/o esperti, questo crea connessione.
- Individuato lo scopo del film perché questo crea chiarezza.
- Messo i punti chiave nella loro posizione migliore all’interno della storia per creare coinvolgimento.
- Stabilito i posti, aree o città e il tempo (stagioni, suddivisione della giornata) dove si svolge la storia perché creano autenticità.
Quindi paradossalmente per avere un risultato che colpisca, faccia riflettere e crei una connessione, bisogna procedere in modo molto analitico e strutturato. Una volta stabilite tutte le necessità e intenzioni in una fase di pre-produzione che generalmente dovrebbe richiedere il 50% di un progetto, si passa alla fase delle riprese, che idealmente dovrebbero essere solo il 20% del tempo, che a questo punto saranno mirate e non casuali seguendo uno storyboard (una lista di punti e immagini da coprire/riprendere) pianificato con una o più interviste/dialoghi che vanno a toccare i punti individuati e riprese che mostrino l’ambiente o rappresentino certe situazioni. Infine il restante 30% del tempo sarà dedicato al montaggio che sarà facilitato dal fatto da avere già uno storyboard ben definito, dove inserire anche la musica, grafica e titoli per avere un risultato finale completo di tutto.
Nella mia storia personale ho sempre amato raccontare storie, è quello che mi coinvolge di più e per quello ho deciso di dedicare la mia attività nel girare film che raccontino persone o attività che però siano guidate da persone che abbiano entusiasmo e che siano in grado di trasmetterlo agli spettatori. Non è un compito facile ma lo faccio sempre con grande passione cercando di unire tecnica ed emozioni insieme che poi è come sono anche nella mia vita di tutti i giorni, forse per quello mi viene così naturale.
Se v’interessa un film che parli di voi e/o della vostra attività, contattatemi, ne possiamo parlare insieme.